mercoledì 24 novembre 2010

Chi salva chi? Un paese in trappola, Galapagos - aiuti all'Irlanda e creditori scomodi

Chi salva chi?
Un paese in trappola
Galapagos  


Chi salva chi? Nel caso dell’Irlanda non è una domanda retorica, soprattutto alla luce di quello che è accaduto per la Grecia e accadrà per il Portogallo. Le ultima informazioni ci dicono che il governo di Dublino, che per settimane aveva puntato i piedi, è stato costretto a cedere aprendo le porte al piano di salvataggio Ue. Centesimo più, centesimo meno, arriveranno 100 miliardi di euro. Visto che la popolazione dell’Irlanda è meno di 5 milioni di abitanti significa che ogni cittadino (neonati compresi) sarà gravato di un debito di oltre 20mila euro che, grosso modo, è anche il debito pubblico (il 65,5% del Pil a fine 2009) pro capite in Irlanda. Fino a due anni fa Dublino era un paese «virtuoso»: a fine 2007 il rapporto tra debito e Pil era al 25% e la spesa pubblica (36,8% del Pil) era perfettamente bilanciata dalle entrate pubbliche. Insomma, un paese senza problemi. Nel 2008, però, è esplosa la crisi globale e l’Irlanda l’ha pagata molto cara in termini di economia reale e di crisi finanziaria: il paese nel suo piccolo è una sintesi perfetta del tracollo globale. L’Irlanda, infatti, aveva cavalcato il boom edilizio e le banche avevano contribuito a gonfiare la bolla. Favorite in questo anche dalla politica monetaria espansiva della Ue che il governo conservatore non è stato capace di bilanciare con un politica fiscale un po’ più restrittiva. Quello che è accaduto negli ultimi due anni è noto: le banche sono andate in apnea e lo stato è intervenuto con decine di miliardi per evitare fallimenti a catena; il deficit pubblico, nullo nel 2007, è salito al 14,4% nel 2009 e quest’anno potrebbe passare la soglia del 30%; il debito pubblico dal 25% del Pil è salito al 65,5% nel 2009 e quest’anno sfonderà il muro dell’80%.Una situazione ghiotta per la speculazione che ha cominciato a prendere di mira il debito sovrano dell’Irlanda e anche il debito delle banche. Il risultato è stato una crescita abnorme dei tassi di interesse e un balzo di quello che viene definito rischio paese, cioè il costo dei credit default swap, l’assicurazione che deve essere pagata per avere la certezza di poter ricevere indietro i soldi prestati allo stato. In tutto questo i normali cittadini non c’entrano proprio; il dissesto è stato provocato dall’ingordigia del sistema finanziario. Eppure la gente comune è stata chiamata a pagare i costi della crisi: prima con una manovra correttiva da 15 miliardi (3000 euro a testa) e ora, per ottenere il salvataggio dalla Ue, con una nuova manovra triennale che dovrebbe sfilare dalle tasche dei cittadini altri 15 miliardi di euro nel prossimo triennio. Ma a cosa serviranno questi soldi? Ufficialmente per ridare stabilità al sistema finanziario e ai conti pubblici. Certo, ma serve una traduzione di questa affermazione: i miliardi serviranno a rimborsare i creditori dell’Irlanda. Cioè le banche che hanno acquistato debito pubblico e privato. E, in prima fila, ci sono le banche britanniche e quelle tedesche. Come nel caso della Grecia siamo di fronte a una enorme partita di giro: la Ue, la Bce e il Fondo monetario danno soldi non per favorire lo sviluppo, ma per consentire al sistema bancario di riavere i suoi soldi. Una truffa alla quale un solo paese ha avuto la forza di ribellarsi: l’Argentina che non ha esitato a dichiarare default, il fallimento. Buenos Aires vide giusto, mentre i paesi con governi conservatori che dovrebbero avere nel Dna la possibilità del fallimento, non lo dichiarano. E non per salvare i propri cittadini, ma esclusivamente il capitale finanziario.  

Manifesto 23-11-2010