«E' tornata la paura», era il titolo di ieri
della Cnn a proposito del nuovo
crollo delle borse. Di sicuro è stata
un’altra giornata drammatica sui mercati di
mezzo mondo. Solo le piazze asiatiche - per
motivi di fuso orario - ne sono uscite indenni,
ma pagheranno con gli interessi oggi. E sicuramente
anche tutte le altre borse mondiali
seguiteranno a perdere. Qualcuno ha
scritto che l’andamento attuale delle borse
assomiglia al movimento dello yo-yo. Vero:
ma la risalita è sempre minore della discesa
e le quotazioni dei titoli seguitano a calare.
Questa volta, tuttavia, la crisi non affonda
nel disordine monetario e negli imbrogli delle
banche, come nel 2008, ma nella situazione
disordinata dell’economia reale. Anche
se il mondo paga ancora il conto - salato - di
quel disordine.
Se non la certezza, c’è l’aspettativa di una
nuova recessione. Se arriverà sarà peggiore
di quella appena alle spalle, sostengono molti
economisti.
Paghiamo il disordine dell’economia reale
E questo perché gli Stati non
hanno più cartucce: sono state
sparate per cercare di sopravvivere
alla crisi passata. Si è trattato di
aiuti giganteschi al sistema finanziario
per non farlo crollare. Operazione riuscita,
ma le casse sono state svuotate.
Di più: l’economia reale degli aiuti
stanziati ha ricevuto solo le briciole. Il
risultato è stata una gigantesca redistribuzione
dei redditi che ha peggiorato
la situazione economica e le prospettive
di decine di milioni di persone. Alle
quali, ora, viene chiesto di pagare il
conto.
Nei guai sono quasi la metà dei paesi
dell’euro; nei guai è Obama che dovrà
tagliare la spesa sociale. Nei guai, se
l’economia globale ricadrà in recessione
o rallenterà corposamente, finiranno
anche la Germania e la Cina che, come
il Giappone, vedranno le esportazioni
crollare. Larga parte della popolazione
mondiale starà ancora peggio e
vedrà i ricchi arricchirsi sempre di più,
perché l’attuale tendenza delle politiche
economiche mondiali è fortemente
classista.
Basta guardare ai provvedimenti programmati
e presentati - senza vergogna
- alle parti sociali dal governo Berlusconi.
Ma anche alla politica degli
Stati uniti, della Bce e a quella dell’Unione
europea e monetaria. Stiamo
parlando di un modello unico di società
nella quale alla flessibilità del lavoro
si cerca di accompagnare uno Stato sottile,
perché al profitto devono essere lasciate
praterie immense. E si vuole privatizzare
soprattutto dove il pubblico
va bene. Ieri Mediobanca ci ha detto
che i profitti delle imprese pubbliche
nel 2010 sono andati a gonfie vele,
mentre i privati arrancano. Una buona
occasione - con l’alibi del debito pubblico
- per privatizzare.
La stessa indagine di Mediobanca - a
proposito dell’incapacità dell’imprenditoria
italiana - afferma che gli investimenti
italiani all’estero si rivolgono a
paesi a basso costo del lavoro per produrre
merci a basso valore aggiunto destinate
ai paesi emergenti e non a quelli
industrializzati. Come possano i sindacati
allearsi con questi «padroni»
non è dato capire. «Per il bene dell’Italia
», dicono in molti. Forse, ma non
per il bene degli italiani.
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